LA TRAGEDIA DEL KOSSOVO

IL PAPA ESORCIZZA LA GUERRA

In Kossovo era in atto una evidente ingiustizia. A una prima resistenza nonviolenta è subentrata la lotta armata dell'UcK. I bombardamenti della Nato e la risposta furibonda della Serbia hanno scatenato l'inferno. Accuse reciproche tra militaristi e pacifisti. La chiesa spinge verso il superamento dei metodi bellici.

"La guerra è sporca!" sbottò infastidito Velibor Veselinovic, capo serbo di Ilidza sobborgo di Sarajevo, in risposta alla serie di domande compite e forbite che la delegazione dei "Beati" (la marcia dei 500 - dicembre 1992) gli poneva. Ora, se la guerra è per sé sporca, se tutte le guerre sono sporche, questa del Kossovo è sporchissima.

Su questo sfondo di criminalità, furbizie e falsità, si affrontano le ragioni pro e contro la guerra; soprattutto emerge una posizione e un ruolo della chiesa, specie del papa, con accenti nuovi.

GENESI DELLA GUERRA

La tragedia dei kossovari in questo momento è sotto gli occhi di tutti. Come è potuto accadere?

La terra del Kossovo è considerata dai serbi come la pupilla del loro occhio: è la terra degli antenati ed è la terra intrisa del sangue dei serbi che là si sacrificarono in gran numero per fermare i musulmani. E' il loro sacrario.

Altre vicende storiche recenti (seconda guerra mondiale) fecero sì che nel Kossovo entrasse e prosperasse la componente musulmano-albanese, per preminente responsabilità italiana, al punto che, attualmente, il 90% era di albanesi e, al massimo, 10% di serbi.

Durante la dittatura di Tito il Kossovo era regione della Serbia, con grande autonomia e adeguata rappresentanza nell'assemblea federale. Dopo Tito e dopo il crollo dell'Urss si manifestarono forti tendenze nazionaliste, che in seguito portarono effettivamente allo sfaldamento della federazione jugoslava.

Nel timore forse che il Kossovo si separasse dalla Serbia, Milosevic abolì lo statuto autonomo e lo ridusse a pura e semplice provincia serba: governo riservato ai serbi; lingua albanese abolita dalla scuola e dagli uffici pubblici.

Cominciò la lotta per riconquistare l'autonomia, con in più le tendenze alla secessione. Per fortuna iniziò e si affermò per dieci anni il movimento nonviolento di Ibrahim Rugova, sviluppando una politica di pace, che sanava i conflitti sia interni che esterni, educando al perdono, come è documentato nel libro "Kosovo, un popolo che perdona" di Giancarlo e Valentino Salvoldi e di Lush Gjergji prete cattolico e pacifista kossovaro, edito dall'EMI. Rivendicava i diritti umani e l'autonomia regionale, con alcuni risultati notevoli: scuole autogestite, elezioni clandestine ecc. Purtroppo questa lotta nonviolenta non fu adeguatamente sostenuta dalla comunità internazionale, che anzi premeva su Rugova perchè non permettesse manifestazioni pubbliche.

Da circa un anno è spuntato e si è velocemente diffuso l'UcK o movimento armato, avente l'obiettivo della secessione. Nel dicembre scorso 220 persone, raccolte da "Beati i costruttori di pace", "Pax Christi", "Campagna per la nonviolenza nel Kossovo" e altri, si sono recate a Prishtina, capitale del Kossovo, per sostenere le ragioni della pace. Vi parteciparono anche 19 obiettori in servizio civile: una idea di quello che dovrebbero essere i <caschi bianchi>. Purtroppo riscontrammo come fosse in atto una corsa generale alle armi, illudendosi così di conseguire risultati immediati.

La reazione serba non tardò a farsi sentire con metodi spicci e brutali. A questi reagì la Nato, sotto pressione di USA e Inghilterra, con i risultati disastrosi e disumani che sono sotto gli occhi di tutti.

SCONTRO MILITARISTI-PACIFISTI

La guerra è sporca e questa lo è forse più di altre.

Milosevic non è uno stinco di santo e la spietatezza con cui la polizia serba ha attuato la pulizia etnica in Kossovo è la prova del suo stile. La sua capacità di governare la complessità - scrive Luca Rastello nel suo libro "Milosevic - Vita e morti di un manager pericoloso" - è testimoniata dalla lunga intesa fra la mafia del Kossovo (che oggi arma e finanzia l'UcK) e i servizi segreti serbi, insieme al transito miliardario dell'eroina di provenienza turca. Milosevic ha costruito le sue fortune anche sull'abilità nel tenere le fila di una rete criminale di dimensioni internazionali. E' figlio di due partigiani morti suicidi; allievo modello di scuole americane di economia; businessman spregiudicato e artista del tradimento politico nella Lega dei Comunisti (da "il Manifesto" del 25.3.1999).

Purtroppo anche l'UcK, il cui esponente politico è Demaci, fautore della lotta armata e della secessione in contrapposizione a Rugova, non è che profumi di pulito. I secessionisti devono molto alla rivolta albanese del 1997: tanti dei kalashnikov finiti nelle loro mani vengono dai depositi saccheggiati in Albania. E' noto anche che l'UcK è cresciuto grazie alla tassa rivoluzionaria che ogni albanese della diaspora ha dovuto versare alle organizzazioni all'estero. Ma anche il traffico della droga che dall'Afghanistan, attraverso la Turchia, finisce sui mercati europei è ancora una fonte di finanziamento. Belgrado accusa gli Stati Uniti di aver addestrato e armato i terroristi con l'aiuto dell'Albania, che ha messo a disposizione caserme e campi sulle montagne.

Questa guerra, come tutte, è ricca di bugie. Un telegiornale annunciava che, in un sol giorno, 249 raid di aerei della Nato avevano bombardato Belgrado e Preshtina, ovviamente colpendo solo aeroporti e fabbriche d'armi senza vittime civili. Così si parla ormai solo di missili intelligenti e di bombe umanitarie; le guerre son dette eufemisticamente missioni di pace o, al massimo, azioni di polizia internazionale, come se, cambiando il nome, non fosse più vera e propria guerra.

Non si può tacere, essendo ormai certo, che gli Stati Uniti hanno da quattordici anni, nel loro armamentario normale, missili con testata di uranio impoverito e quindi radioattivi. Soltanto la marina americana ha rovesciato sull'Iraq undici tonnellate di questo materiale, con effetti immediati e genetici. Pare che ciò stia avvenendo anche in Serbia.

Su questo sfondo si scontrano le opinioni di militaristi e pacifisti.

Ernesto Galli Della Loggia, militarista di vecchia data, in un editoriale sul <Corriere> di venerdì 2 aprile, attacca il pacifismo, quello storico (antiamericano) e quello attuale, che non sarebbe nemico dichiarato né della Nato né degli USA, ma semplice "disperata volontà di non diventare adulti". Mario Pirani, su <la Repubblica> dello stesso giorno, parla de "La cattiva coscienza dei pacifisti": zitti quando stupri e soluzioni etniche avvenivano in Bosnia, mentre oggi protestano davanti alle ambasciate americane. Il filosofo Armando Plebe sta invece dalla parte dei pacifisti, che reagiscono alla "ipocrisia spaventosa" di Clinton: il suo bisogno di rifarsi una popolarità dopo lo scandalo Lewinsky, carta giocata prima con Saddam e ora con Milosevic; il suo strabismo che vede gli albanesi cacciati dal Kossovo, ma sembra non vedere i curdi perseguitati, torturati, cacciati dalla Turchia, potente alleata della Nato (vedi anche "La Turchia e i curdi - questione di democrazia" in <Il Regno> n. 6/99). Ugualmente lo storico Domenico Losurdo denuncia il colpo di mano di Nato e USA contro l'ONU, che ci riporta alla cultura coloniale, una svolta che cancella il diritto internazionale; e denuncia pure la mistificazione di dipingere come opera umanitaria l'intervento Nato.

Il sottoscritto, interpellato da <Avvenire> (3 aprile, p. 8), pur riconoscendo in passato un certo pacifismo antiamericano, salvo sostenere le lotte armate di liberazione, nega che tutti i pacifisti, anche di sinistra, fossero così; e nega tanto più che il pacifismo di oggi sia debole o del quieto vivere, indifferente sia alla Nato che agli USA. E' pura fantasia.

Galli Della Loggia e company fingono di ignorare che vi sono stati e vi sono in Italia credenti e laici pacifisti che si rifanno a Gesù Cristo e alla prima chiesa per radicalità evangelica (ben diversa da estremismo) e/o al pensiero e alle lotte nonviolente di Gandhi, M. L. King, Perez Esquivel, Rodolfo Seguel, Benigno e Cori Aquino, Lech Walesa, Jean e Hildegard Goss, don Milani, p. E. Balducci, il vescovo Tonino Bello, e a una serie di teorici della nonviolenza passati e contemporanei.

Attualmente diversi movimenti, dai "Beati" alla "Campagna per una soluzione nonviolenta in Kossovo", Pax Christi, Tavola della pace, Acli, Assopace ecc., si distinguono per la elaborazione di una cultura e una prassi di pace e nonviolenza, una cultura con cui i politici dovranno pur fare i conti.

ISTANZE CULTURALI E RELIGIOSE

E' impossibile qui registrare distintamente i pronunciamenti, le prese di posizione, gli appelli e le iniziative (preghiere, sit-in, tende, dibattiti, digiuni...) emersi dal vasto, anche se frastagliato, mondo pacifista in questi giorni. Non è tuttavia difficile individuare i principali punti di convergenza e alcune novità significative soprattutto nel campo religioso cattolico.

Dal punto di vista critico, scontata è la denuncia della spietata e criminale pulizia etnica a danno degli albanesi nel Kossovo ad opera di Milosevic; ma si esprime anche una generale diffidenza verso la dichiarata intenzione umanitaria e gli obiettivi pacifici dei bombardamenti Nato.

Si denuncia, in particolare, la illegalità di tale intervento: non è autorizzato dall'ONU e non basta una risoluzione dell'ONU (in questo caso la 1.203), ma è necessario l'ok del Consiglio di Sicurezza; non è contemplato nella carta costitutiva della Nato, che prevede unicamente la difesa dei paesi membri; è contro l'art. 11 della nostra Costituzione.

Giunge proprio ora l'annuncio che Milosevic avrebbe chiesto la tregua. Ciò evidentemente farebbe piacere, ma non farebbe cambiare di un millimetro le critiche suesposte. La pulizia etnica in gran parte è stata attuata e il disastro per la gente del Kossovo è irreparabile. Si aggiungano le vittime civili e le distruzioni nel resto della Serbia. Andrà verificato l'uso o meno di materiale radioattivo.

Restano valide anche le proposte alternative agli interventi bellici.

Se un punto è stato ribadito con forza e da tutti, è il seguente: si ritiene indilazionabile la riforma dell'ONU, perchè sia messa in condizione di decidere autorevolmente per il rispetto dei diritti umani ed eventualmente di intervenire con un Corpo di Polizia Internazionale (Caschi Blu) alle sue dirette dipendenze e/o con un Corpo di Caschi Bianchi (disarmati), secondo i casi.

Dal punto di vista religioso e, propriamente, cattolico, sono da registrare alcune novità.

L'opera del papa Giovanni Paolo II contro questa guerra e contro ogni guerra è stata troppo esplicita e netta per lasciare dubbi sul suo pensiero. C'è solo da prenderne atto, come già della condanna senza eccezioni della pena di morte, dichiarando sacra e inviolabile non solo la vita innocente, ma anche quella del colpevole. E' la fine della <dottrina della guerra giusta> e della <legittimazione della pena di morte>?

Parrebbe di sì. Ora ci si dovrebbe attendere la eliminazione sia dell'una che dell'altra dall'insegnamento ufficiale della chiesa, ossia dal Catechismo Universale della Chiesa Cattolica. Sarebbe una svolta davvero storica.

Pronunciamenti interessanti sono venuti anche dall'episcopato, soprattutto quello statunitense. Il card. Fiorenza, presidente dei vescovi americani, ha espresso la sua impressione che l'iniziativa dei bombardamenti fosse "ingiustificata" e ha invitato i soldati a riflettere in coscienza se non fosse il caso di rifiutarsi di parteciparvi.

Indice di una sensibilità nuova più severa circa gli armamenti è anche un documento di 75 vescovi di Pax Christi USA, del 10 giugno 1998, contro la deterrenza nucleare e per il disarmo nucleare totale. Essi scrivono che la dissuasione nucleare come politica nazionale deve essere condannata come moralmente abominevole, perchè è un pretesto e una giustificazione per continuare il possesso e per sviluppare ulteriormente le armi nucleari. Dicono testualmente: "La scelta odierna è chiara: o tutte le nazioni rinunciano al diritto di possedere queste armi, oppure tutte le nazioni reclameranno questo diritto (vedi India e Pakistan)... Un così grande investimento per un programma che serve a incrementare la progettazione, lo sviluppo, la verifica e il mantenimento delle armi nucleari ("Stoccaggio e amministrazione delle scorte nucleari" da 60 milioni di dollari) mostra con chiarezza che gli Stati Uniti (e le altre nazioni con armi nucleari) non hanno l'intenzione di procedere verso il <disarmo progressivo> e certamente non si impegnano per la eliminazione totale di queste armi".

Del resto, un qualche uso del materiale radioattivo è già iniziato, secondo quanto scrive p. Jean Marie Benjamin su <Liberazione>: "Come in Iraq, anche sui Balcani missili all'uranio". E' l'inizio della fine.

Angelo Cavagna